Matisse. Sinfonia cromatica per carta e forbici
Sinfonia cromatica per carta e forbici, in “Il Giornale dell’Arte”, 326, Torino, dicembre 2012
Il più bel libro del secolo, Jazz (ora riedito da Electa), nasce dalla Symphonie chromatique, soave costellazione floreale che Matisse realizza nel 1939 per la copertina di un numero di “Verve”, rivista raffinatissima dell’amico Tériade: per riprodurre il collage matissiano occorrono ventisei diversi passaggi di colore applicati a pochoir, la tecnica di stampa più vicina a una lucida follia.

Matisse, Jazz
Tériade, greco dell’isola di Lesbo diventato parigino, è il secondo genio del livre de pientre del ‘900. Il primo è Ambroise Vollard, che aveva inaugurato il secolo con Parallèlement di Verlaine realizzato da Pierre Bonnard, e per quasi quattro decenni dimostrato al mondo che un artista non deve illustrare un libro, ma lo deve concepire integralmente come un’opera d’arte, affidandosi al talento straordinario di stampatori e artefici complici.
“È più difficile concepire un libro che costruire tutto un quartiere o delle intere città come New York, Chicago o Philadelphia”, amava ripetere Vollard. Magari esagerava. Ma quando proprio Tériade pubblica nel 1947 con Chagall Les âmes mortes di Gogol e nel 1952 Les fables di La Fontaine, porta a termine due progetti ereditati da Vollard che il predecessore aveva avviato rispettivamente nel 1923 e nel 1927: i tempi sono da grande urbanistica, in effetti.
Tériade ama la carta, e ama la grande arte. Non a caso è stato il timoniere di “Minotaure”, rivista dell’avanguardia intelligente fondata da Albert Skira, e poi con “Verve” ha voluto creare un luogo in cui gli artisti, da Matisse a Mirò, da Picasso a Léger, possano sentirsi a casa propria. Non si tratta di parlar d’arte ma di farla vivere, dandole un luogo appropriato che non sia solo quello del quadro: questa è l’idea.

Matisse, Jazz
Vedendo Matisse all’opera con i papiers découpés, carte colorate a tempera ritagliate e composte con cadenze iconografiche di brusca e irritante bellezza, l’editore comprende che questo sistema, cui sino ad allora l’artista era ricorso solo occasionalmente, sembra fatto apposta per essere tradotto in un libro mai tentato. Nel 1943 nasce il progetto, e dopo “soli” quattro anni ecco Jazz, capolavoro tra i capolavori.
Della triade di grandi opere nate dal genio di Tériade – le altre due sono Le poème de l’angle droit di Le Corbusier e Le chant des morts di Reverdy realizzato da Picasso – questa è quella che più perfettamente incarna lo spirito del livre de peintre, e insieme lo trascende.
Matisse non declina un repertorio tecnico e iconografico che già gli appartiene, ma lo inventa e gli dà un corpo esattamente nella misura, mentale prima ancora che fisica, di questi fogli. È un toccare la carta che deve ritrovarsi perfettamente consonante nelle mani dell’artefice chiamato alla realizzazione, in questo caso il geniale Edmond Vairel.

Matisse, Jazz
Le immagini si cadenzano con tutta la forza clangorosa dei lori timbri forti (i passaggi di colore sono, qui, ventitre), delle sagome nette e schematiche, davvero frutti d’una improvvisazione che è come quella jazzistica, la quale non segue un’armonia già saputa ma la ritrova avventurosamente dopo percorsi liberissimi e fastosi.
Esse si alternano a pause bianche, essenziali e attentamente calcolate da Matisse, e fogli in cui l’artista ha vergato, come melodie rabescanti, alcune annotazioni autografe, sottotemi che s’intessono a reggere e far emergere potenti i principali, dati dal canto del colore.
Jazz è un passaggio capitale. Ha tutto il sapore del livre de peintre, dell’umore anche letterario della nuova tradizione grande del secolo, ma è già a pieno titolo qualcos’altro, un vero libro d’artista: prima di lui solo William Blake, forse, aveva osato immaginare tanto.